Omosessualità: normalità o patologia?
Scienza o pregiudizio?
Il tema dell’omosessualità e dei diritti delle coppie omosessuali costituiscono, in questi ultimi anni, oggetto di acceso dibattito.
Lungi dal voler perseguire il superbo e irrealistico intento di approdare a conclusioni sul tema, trovandomi spesso a riflettere sulle argomentazioni diffuse in materia, approfitto dell’ampia possibilità che il web ci dà, per condividere queste riflessioni.
Una prima questione riguarda la normalità o patologia dell’orientamento omosessuale.
In teoria, tale questione sarebbe da tempo risolta, visto che dal 1973 l’omosessualità è stata cancellata dal D.S.M. (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, che costituisce il riferimento nosografico internazionale).
D’altronde la definizione della normalità costituisce tema ostico, già a livello teorico.
Come possiamo identificare un comportamento normale?
L’epistemologia (cioè lo studio della metodologia, natura e limiti della conoscenza scientifica) ci ha provato.
E’ normale il comportamento medio?
Ma questo significherebbe che se, in media, un adolescente in discoteca il sabato sera consuma 3 superalcolici, è anormale l’adolescente astemio?
Allora, normale potrebbe essere il comportamento di moda (nel senso statistico del termine e cioè il comportamento più frequente).
Di nuovo l’adolescente astemio rischierebbe di ricadere in una patologica anormalità.
Oppure la normalità è definibile in riferimento ad un modello ideale?
Ma a chi dovrebbe essere affidato il compito di tratteggiare tale modello ideale?
Il suddetto Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali ha risolto salomonicamente la questione scegliendo come criterio che distingue il normale dal patologico l’interferenza da parte di un certo sintomo con il funzionamento lavorativo, scolastico, sociale di una persona e la percezione di disagio soggettivo da parte sua.
Ovverosia, ad esempio, quando un’idea fissa, tipica di una certa persona, può essere considerata semplicemente una preoccupazione o passione particolare di quell’individuo e quando diventa una patologica ossessione?
Quando quella persona, in conseguenza di quella idea fissa, non riesce a lavorare, studiare, avere relazioni sociali o prova un intenso disagio.
Proprio per questo motivo l’omosessualità scompare dai manuali diagnostici dei disturbi mentali. Vi resta, invece, oggi, la “Disforia di genere” in cui la patologicità è data dal disagio provocato dal non riconoscersi nella sessualità assegnata dalla natura.
Si procede ora su altre questioni: matrimonio, diritto all’adozione per le coppie omosessuali.
Un’obiezione che sento fare spesso alla possibilità di legalizzare matrimoni e adozioni per coppie omosessuali è che esse potrebbero determinare confusione nell’identificazione di genere e nell’orientamento sessuale di un figlio.
Per verificarlo avremmo bisogno di ampi studi sul numero di figli omosessuali nati e/o cresciuti da genitori omosessuali ed eterosessuali.
Studi, tuttavia, ostacolati dalla disparità dei numeri tra coppie omosessuali e non con figli e dalla possibilità che intervengano ulteriori variabili a differenziare coppie etero ed omosessuali.
La scienza, però, procede anche per falsificazioni.
Ovverosia, per verificare la tenuta di un’ipotesi è più utile ricercare dati che la contraddicono piuttosto che raccogliere dati che la confermano.
Ad esempio, l’ipotesi che tutti i pinguini adulti siano bianchi e neri potrà anche essere confermata dal ritrovamento di migliaia di esemplari siffatti ma basterà un pinguino di un altro colore per mandarla all’aria.
Allora, tornando alla possibile influenza confusiva determinata da coppie omosessuali sui figli, per averne conferma scientifica, non dovremmo trovare omosessuali nati e cresciuti da coppie eterosessuali.
In conclusione credo, tuttavia, che al di là delle considerazioni scientifiche o pseudoscientifiche, delle argomentazioni razionali e logiche, vi sia una questione di fondo, di natura etica, ancora irrisolta.
La questione del giudizio o pregiudizio.
Questione che è stata con straordinaria semplicità centrata da papa Francesco quando si è chiesto: “Chi siamo noi per giudicare un omosessuale?”.
Vale a dire chi siamo noi per decidere che quell’orientamento sia sbagliato e dannoso?
Sbagliato e dannoso per chi?
Certo non per gli omosessuali, a meno che non siano oggetto di discriminazione.
Sbagliato e dannoso per gli eterosessuali? E loro cosa c’entrano?
Forse, solo quando i gusti sentimentali e sessuali degli omosessuali inizieranno ad essere considerati questione strettamente privata su cui nessuno ha diritto e motivo di intromettersi o ironizzare, si potranno porre le basi per una valutazione legislativa lucida e obiettiva.