Educazione, comunicazione e gestione dei conflitti genitori-figli, gestione dei “capricci”.

Nel mio cammino di mamma mi sono ritrovata, ad un certo punto, a riflettere su un atteggiamento erroneo che assumevo con i miei bambini: tendevo a concentrarmi prevalentemente sugli aspetti negativi e criticabili e a trascurare, dandoli dare per scontati, quelli positivi.

Questi avrebbero potuto essere esclusivamente problemi miei se non mi fossi resa conto che si trattava di una tendenza diffusa. Me ne sono accorta, ad esempio, chiacchierando con altre mamme amiche.

Riporto stralci di conversazione:”Mio figlio si comporta male, mi fa arrabbiare, mi tocca sempre sgridarlo.”

Poi un giorno: “Ieri abbiamo fatto una gita e lui è stato proprio bravo”. “Bene. E glielo hai detto?” “Beh … No”.
Oppure, pensiamo alla vita di classe: è uso comune porre per iscritto note di demerito su diari e registri, ma esiste la stessa diffusa abitudine per le note di merito? Non mi risulta.

Mi sono allora chiesta: vuoi vedere che, nell’adottare questa condotta, sono in buona compagnia?

Perché questo atteggiamento è errato e, a lungo andare, dannoso?

Perché il modo in cui percepiamo i nostri figli influenza il linguaggio che usiamo con loro (“Sei cattivo, sei un monello, sei uno stupido”, oppure “Sei bravo, sei in gamba” ecc., ecc.).

Le nostre parole forniscono al bambino delle informazioni su di sé e contribuiscono, così, a determinare l’immagine che egli avrà di se stesso.

A tale immagine che, dunque, gli rimandiamo, si uniformerà il suo comportamento.

Concentrandoci prevalentemente sugli aspetti negativi, finiamo con il favorirne lo sviluppo.

La conclusione possibile è che i nostri figli tenderanno a comportarsi proprio in quella maniera che avremmo voluto scongiurare, evitare.

Il titolo di questo articolo vuole suggerire l’importanza di un approccio ai bambini incentrato sul saperne cogliere, notare, valorizzare le qualità.

Un approccio, cioè, capace di vedere quel proverbiale bicchiere mezzo pieno che i nostri bambini sono.

Voglio fare un banale esempio per dimostrare quanto l’immagine che abbiamo di noi sia in grado di influenzare non solo il modo in cui ci sentiamo con noi stessi ma anche la nostra percezione, interpretazione e reazione alla realtà circostante, agli eventi e agli altri.

Immaginiamo una persona che si sente fisicamente poco attraente. Se a tale individuo capitasse, per strada, di essere guardato da qualcuno, egli tenderebbe ad interpretare quell’occhiata come manifestazione di disappunto (“Mi guarda perché sono brutto.”). Potrebbe, di conseguenza, reagire con un’espressione torva, pensando: “Ma che ti guardi, sarai bello tu!”.

Al contrario, se ritenesse di essere avvenente interpreterebbe la stessa occhiata come segno di apprezzamento (“Mi guarda perché sono bello.”). Di conseguenza potrebbe reagire con un’espressione del viso più benigna, magari con un sorriso.

Tutto questo indipendentemente dal reale significato ed intenzione di quello sguardo. Magari la persona che ha rivolto l’occhiata lo ha fatto distrattamente, soprappensiero, senza rendersene conto. Il nostro ipotetico soggetto, però, avrà interpretato la sua occhiata e vi avrà reagito in base all’immagine che ha di sé.

Se l’immagine che abbiamo di noi influenza il modo in cui percepiamo e reagiamo alla realtà che ci circonda, questa non è una questione di poco conto!

Tutto ciò vale anche per i bambini.

La prima e più importante fonte di informazioni su di loro siamo noi: quello che gli diciamo di loro. Inoltre, dal momento che i bambini hanno totale fiducia nell’onniscienza degli adulti, questi messaggi hanno molta importanza per loro.

Ricordo un bambino di quasi tre anni che risultava ingestibile per genitori ed educatrici dell’asilo nido. Una di queste aveva riferito che, durante un momento critico, gli aveva domandato, in preda allo sconforto: “Perché fai così?”. E lui: “Perché io sono cattivo”.

Si crea, così, un circolo vizioso in cui un comportamento inadeguato suscita un giudizio negativo esteso all’intera personalità del bambino (“Sei cattivo”).

Se sistematicamente ripetuti, tali giudizi diventano parte integrante dell’immagine di sé e influenzano in maniera stabile il comportamento.

Questo non significa che i bambini non vadano limitati e contraddetti. Significa usare un linguaggio non mortificante che comunichi al bambino: “Sei un bravo bambino che in questa occasione si è comportato in modo sbagliato”.

Condividi sui social:

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>